Vuoi l'appalto? Caccia la grana. Tutto legale.
articolo di Valerio Valentini per Byoblu.com
Nel 2000 venne abolito l’Albo nazionale dei costruttori,
un organo che aveva il compito di valutare i requisiti
tecnico-giuridici delle imprese che intendevano partecipare ai lavori
pubblici. Si disse che era soltanto un carrozzone inutile, che alla fine
pagava sempre Pantalone e che sopprimerlo avrebbe fatto risparmiare un
sacco di soldi ai contribuenti. Giusto! E dunque, cosa ci siamo
inventati, in sua sostituzione?
Forse
in pochi lo sanno, ma un’azienda che oggi volesse ottenere un
attestato che le permetta di prendere parte ad una commessa pubblica
superiore a 150mila euro, deve rivolgersi alle SOA (Società Organismi di Attestazione). Le quali dovrebbero svolgere una funzione di controllo: verificare, cioè, che l’azienda in questione abbia i requisiti
per sostenere l’appalto e portare a termine il lavoro entro tempi
brevi e con le modalità stabilite, analizzando l’attività dell’azienda
nel corso degli ultimi cinque anni e rilasciando il certificato per la
fattispecie di commesse.
Tutto bene, in teoria, se non fosse per un impercettibile difetto: le SOA sono entità private,
delle vere e proprie S.p.A. e, per rilasciare l’attestazione,
pretendono un compenso che è proporzionato all’importo complessivo della
commessa per la quale si richiede l’attestazione. Quello che si crea,
insomma, è uno strano rapporto tra azienda controllata ed ente
controllore per il quale chi dovrebbe controllare finisce per essere
controllato, dal momento che se non rilascia il certificato non prende i soldi. Il pagamento, infatti, non avviene nel momento della richiesta della verifica, ma al rilascio dell’attestazione SOA.
Il sistema conviene a tutti e si regge su un equilibrio semplice:
siccome il certificato ha validità quinquennale, ogni cinque anni
un’azienda è obbligata a ottenerne uno nuovo. Il che significa che ogni
cinque anni le S.p.a. che lo rilasciano hanno la certezza che quell’azienda verserà dei soldi
per il nuovo certificato. Così ognuno ha i suoi vantaggi e tutti sono
contenti. Tranne, ovviamente, i cittadini, i quali non possiedono così
alcuna certezza che i lavori per la costruzione dell’ospedale,
piuttosto che per la restaurazione della facciata del Teatro Comunale,
vengano affidati alle aziende con le carte in regole.
Ecco,
quando vi parlano di privatizzazioni taumaturgiche e della necessità
di vendere i carrozzoni inutili e costosi, sappiate che spesso quello
che si rischia è propria una svendita di un servizio che dovrebbe
essere utile alla collettività. Se togliamo la gestione di quel
servizio allo Stato – in questo caso di controllo –, demandandola a un
consiglio di amministrazione che ha come unica preoccupazione quella di
aumentare il proprio fatturato, rinunciamo a pezzi di libertà
che di volta in volta, ad ogni crisi e ad ogni finanziaria, ci vengono
soffiati sotto il naso. Lo stesso discorso, del resto, potrebbe essere
applicato alle banche, che si chiamano “italiane”, ma in realtà sono
partecipate soltanto da privati, ed ottengono prestiti agevolati dalla
BCE con interessi dell’1% per poi rivendere quel denaro a tassi molto
più alti. Col risultato che sono sempre i singoli cittadini, che magari
accendono un mutuo per comprarsi una casa o una lavatrice, a rimanere fregati.
Con
ottimismo, insomma, avviamoci verso la catastrofe. E guai a lamentarvi
o a proporre soluzioni: se lo fate, siete solo populisti e demagoghi
che soffiano sul fuoco dell’antipolitica!
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